venerdì 11 gennaio 2008

La poesia c'è


“È ancora possibile la poesia?”

Eugenio Montale


No. La poesia non è morta. Ancora qualcuno la legge, la scrive, la fa. Ancora qualcuno l’avverte di volta in volta come un sollievo, uno sfogo, un’esigenza insopprimibile. Ancora qualcuno la vive. Con passione.

Nonostante non sia facile a credersi, è così. La ricerca del bello, del sublime, del vero è universale. Come dire? È necessaria in senso filosofico: non può non essere. Magari assume forme, tendenze, espressioni diverse rispetto al passato; ma c’è, in ogni luogo e in ogni epoca. Anche oggi.

Per sincerarcene abbiamo pensato di confrontarci con Enrico Rovegno.

Il poeta e scrittore chiavarese, in forza della sua triplice veste di autore di versi, critico letterario e professore di lettere, darà prova dell’attualità della poesia, ci illustrerà la sua vitalità e la sua essenzialità, argomenterà la sua decisa risposta affermativa all’interrogativo montaliano sulla possibilità della poesia.

L’incontro, al quale tutti siamo calorosamente invitati a partecipare, si terrà venerdì 18 gennaio alle ore 21 sempre presso il Ritrovo Parrocchiale A.N.S.P.I. di Casarza Ligure (via Sottanis, 2). Vi aspettiamo.



Enrico Rovegno, nato a Genova nel 1950, sposato e padre di due figli, insegna Lettere nella scuola media superiore. Ha pubblicato saggi: Per entrar nel buio - Lettura di Finisterre di Eugenio Montale, Egic 1994; Leggendo Res amissa di Caproni: il Gelo e l'ultima caccia, in AA.vv., Studi di Filologia e Letteratura offerti a Franco Croce, Bulzoni, 1997 e ha collaborato, inoltre, con recensioni, articoli e saggi alle riviste "Rassegna della letteratura italiana", "Resine", "Quinta generazione", "Nuova prosa", e al quotidiano "Avvenire". I suoi romanzi Vigilia e Le mele di Zurbaran sono stati editi da Marietti rispettivamente nel 1987 e nel 1992. Ha pubblicato anche racconti (Il gallo, la luna e la paura, Sagno 1987; Piccolo manuale di fauna alternativa, in Nuova Prosa, 1989) e tree volumi di versi (I corvi di Elia, Forum, 1979, Sul Dorso del pesce, Ecig, 1988 e Ad familiares, De Ferrari, 2005).

martedì 8 gennaio 2008

Tutta la vita per un verso

"...Oh, ma con i versi si fa ben poco, quando li si scrive troppo presto. Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita e meglio una lunga vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe che fossero buone. Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze. Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lungi, a giorni d'infanzia che sono ancora inesplicati, ai genitori che eravamo costretti a mortificare quando ci porgevano una gioia e non la capivamo (era una gioia per altri), a malattie dell'infanzia che cominciavano in modo così strano con tante trasformazioni così profonde e gravi, a giorni in camere silenziose, raccolte, e a mattine sul mare, al mare, a mari, a notti di viaggio che passavamo alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle, e non basta ancora poter pensare a tutto ciò. Si devono avere ricordi di molte notti d'amore, nessuna uguale all'altra, di grida di partorienti, e di lievi, bianche puerpere addormentate che si richiudono. Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso."
Rainer Maria Rilke (1875-1926)
da "I quaderni di Marte Laurids Bridge"